Dal Vangelo secondo Matteo (13,1-9).
Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.
Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre
seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il
trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».
Storia di un chicco di grano. Come il seminatore ebbe terminato la sua opera, il chicco di grano venne a
trovarsi tra due zolle di terra nera e umidiccia, e divenne terribilmente triste. Era buio, era umido, e l’oscurità e l’umidore aumentavano sempre di più, poiché al calar sera s’era disciolta in pioggia fitta fitta. C’era da darsi alla disperazione. E il chicco di grano cominciò a ricordare. Bei tempi quelli, quando il chicco stava al caldo e al riparo in una spiga diritta e cullata dal vento, in compagnia dei fratellini! Bei tempi sì, ma così presto passati!
Poi era venuta la falce con il suo suono stridulo e devastatore, a sbattere tutte le spighe. Poi i mietitori con i loro rastrelli avevano caricato sui carri le spighe legate in covoni. Poi, più terribile ancora, i battitori si erano accaniti sulle spighe pestandole senza pietà. E le famigliole dei chicchi, vissute sempre insieme dalla più verde giovinezza, erano state sbalzate fuori dalle loro spighe, e i chicchi scaraventati in giro, ciascuno per conto suo, per non incontrarsi più.
Ma nel sacco del grano almeno ci si trovava ancora in compagnia. Un po’ pigiati, è vero, e magari si respirava a fatica, ma insomma si poteva chiacchierare un po’. Ora invece, era l’abbandono assoluto, la solitudine tetra, una disperazione! Ma l’indomani fu peggio, quando l’erpice passò sul campo e il chicco si trovò nella tenebra più densa, con terra dappertutto, sopra, sotto, in parte. L’acqua lo penetrava tutto, non sentiva più in sé il minimo cantuccio asciutto.
“Ma perché fui creato, se dovevo finire in modo così miserando? Non sarebbe stato meglio per me non aver mai conosciuto la vita e la luce del sole?” Pensava tra sé. Allora dal profondo della terra una voce si fece sentire. Gli diceva: “Abbandonati con fiducia. Volentieri, senza paura. Tu muori per rinascere ad una vita più bella”.
“Chi sei?” domandò il povero chicco, mentre un senso di rispetto sorgeva in lui. Poiché sembrava che la Voce parlasse a tutta la terra, anzi all’universo intero. “Io sono Colui che ti ha creato, e che ora ti vuole creare un’altra volta”. Allora il chicco di grano si abbandonò alla volontà del suo Creatore, e non seppe più nulla di nulla. Un mattino di primavera, un germoglio verde mise fuori la testolina dalla terra umida. Si guardò attorno inebriato. Era proprio lui, il chicco di grano, tornato a vivere un’altra volta.
Nell’azzurro del cielo il sole splendeva e la lodoletta cantava. Era tornato a vivere… E non da solo, poiché intorno a sé vedeva uno stuolo di germogli in cui riconobbe i suoi fratellini. Allora la tenera pianticella si sentì invadere dalla gioia di esistere, e avrebbe voluto alzarsi fino al cielo per accarezzarlo con le sue foglioline.
C’è il tempo della semina e il tempo del raccolto: due tempi ben distinti. La tentazione è quella di capire quale terreno vorresti essere e non ci accorgiamo che quello che realmente conta è sapere che quel seme è dentro di noi e genera vita. Quanto desideriamo lasciarci nutrire da questo seme perché il nostro essere terreno trovi il suo significato più autentico? Non preoccupiamoci di avere tutto, ma di essere abitati da Colui che è via, verità e vita. Se mancano le fondamenta nella casa, i muri, il solaio e il tetto restano in piedi fino a quando non c’è il primo scossone: così noi non stiamo in piedi se ci manca il centro di tutto. Non cerchiamo quale terreno siamo, ma preoccupiamoci di accorgerci che siamo abitati da questo seme: troveremo che la forza per vivere una vita buona e bella è dentro di noi e che è possibile vincere i vizi e i peccati, restando concentrati sul seme.
Dal libro del profeta Isaìa (55,10-11).
Così dice il Signore: «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il
seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà
a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».
Preghiamo: Accresci in noi, o Padre, con la potenza del tuo Spirito la disponibilità ad accogliere il germe della tua parola, che continui a seminare nei solchi dell’umanità, perché fruttifichi in opere di giustizia e di pace e riveli al mondo la beata speranza del tuo regno. Per Cristo nostro Signore. Amen.
XV Domenica del Tempo ordinario anno A, 12 luglio 2020
Don Nicola
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