PARROCCHIA DI SANTA MARIA ASSUNTA
Fiera di Primiero
A cura di Alessandro Chiopris
“Mettimi come sigillo sul tuo cuore”
L’Hortus Conclusus letto alla luce del Cantico dei Cantici
Una doverosa introduzione*
In un’epoca storica come la nostra, dove l’amore è ridotto a oggetto di consumo, se non addirittura banalizzato, ridicolizzato, volgarizzato e trasformato a una merce vendibile; diviene un atto profetico, e nel contempo di giustizia, trovarci in questa bellissima chiesa, tardo gotica, per contemplare, con gli occhi di chi cerca la Verità, i simboli dell’amore contenuti nel maestoso affresco dell’Hortus Conclusus.
Questa nostra serata ha l’ambizione di aprire un varco nei nostri cuori, attraverso le parole della più bella canzone d’amore che l’uomo credente abbia mai realizzato nell’arco della sua storia: il Cantico dei Cantici. Alcune suonate d’organo ci consentiranno di creare quell’armonia che è proprio della fede cristiana.
L’arte figurativa ci permette di gustare la Bellezza delle immagini sacre; la musica liturgica ci dà l’occasione di ascoltare brani del Buono che la fede ha maturato in sé; infine, il dialogo che emerge tra l’amata e l’amato, nel testo sacro, ci consente di dissetare la nostra sete di Dio direttamente dalla fonte di ciò che è Giusto.
Partiamo con un accenno, storico-artistico, dall’affresco dell’Hortus Conclusus
Diversi anni fa nel corso dei lavori di restauro di questa chiesa, smontato l’altare dell’Assunta allora addossato alla parete nord, è apparsa la maestosa raffigurazione dell’ “Hortus Conclusus” (il giardino chiuso del Cantico dei Cantici 4,12) di cui non si aveva alcuna menzione. Questa composizione pittorica è stata sottratta alla pietà popolare dopo il Concilio di Trento (1545-1563), presumibilmente per la presenza di elementi legati alla mitologia greca.
Il dipinto, di cui è ignoto l’autore, è uno spazio in cui sono racchiuse le metafore della verginità di Maria, posta in un giardino recintato da un muro a sei lati. E’ chiamata anche “Caccia mistica all’unicorno”, perché vuole riassumere in un proprio piano figurativo tutto ciò che venne elaborato dogmaticamente sul verginale concepimento di Cristo in Maria, dall’inizio del medioevo. (Giissman).
E’ una composizione tipica del contesto tedesco: a sinistra in basso compare l’arcangelo Gabriele che suona il corno, da cui esce il cartiglio con le parole: “Ave Maria gratia plena.” Davanti a lui 4 levrieri, che rappresentano la misericordia, la giustizia, la verità e la pace. Questi danno la caccia all’unicorno che, se pure bestia indomabile, si avvicina ad una vergine pura, e si addormenta nel suo grembo, simboleggiando la purezza e la castità. L’incarnazione di Cristo viene raffigurata attraverso un piccolo bambino, coricato sopra una croce, all’altezza della torre di Davide, ricca di stemmi con riferimenti ai casati importanti d’allora e che troneggia nel centro. Da Dio Padre, posto alla sommità del dipinto piovono dei raggi di luce verso la Vergine Maria posta in basso a destra, adombrata dallo Spirito Santo che, nell’immagine classica della colomba, le sta sopra la testa.
Sono evidenziati inoltre tanti simboli presenti nella Bibbia dell’Antico Testamento, tra cui l’urna aurea (Es 16,31) in cui i giudei conservavano la manna e che richiama Maria, la quale prezioso vaso, porta in seno il Salvatore; l’arca dell’alleanza (Es 22,25) cioè dimora di Dio, luogo di preservazione; il roveto ardente (Es 3,5) a cui Mosè si poté avvicinare solo se scalzo; il bastone fiorito d’Aronne (Nm 17,23); il vello di Gedeone (Gdc 6,37-38); la porta clausa di Ezechiele (Ez. 44,1-2), cioè la porta sigillata del tempio che impedisce ogni tentativo di entrata nel giardino santificato; la porta del cielo (Gn 28,17) ad oriente attraverso cui solo Cristo, quale luce che sorge, poté passarvi; la torre d’avorio a destra; un’altra piccola, in cima a sinistra con la figura del profeta Isaia alla finestra, da cui esce un cartiglio con le parole “Ecco una Vergine concepirà e partorirà un figlio”. Alla sommità del dipinto rifulge una stella (Stella maris) che rappresenta la Vergine quale stella polare.
Nella lettura di questa sera, tratta dal Cantico dei Cantici, approfondiremo solo alcuni simboli cristiani presenti nell’affresco. Ci soffermeremo maggiormente sul giardino quale “contenitore” ideale di tutti gli altri simboli:
◊ Il giglio: dice la purezza verginale di Maria.
◊ La colomba: evoca lo Spirito Santo che scende sul capo di Maria nell’atto del concepimento verginale.
◊ La torre: rappresenta l’anello di congiunzione fra cielo e terra e può simboleggiare l’aspirazione dell’uomo verso l’infinito. Richiama anche il senso di vigilanza.
◊ La fontana: ricorda in sé il valore dell’acqua quale elemento vitale per la sopravivenza dell’uomo e della sua stessa fede. Infatti l’acqua dice rigenerazione, purificazione e battesimo. Se Cristo è l’acqua viva, il grembo di Maria è la fontana che la contiene.
◊ Il giardino: il segno del giardino paradisiaco, in cui tutto si rispecchia e da cui tutto emana, percorre tutto questo testo e ritornerà altrove. A questa simbologia si connette l’archetipo generativo e materno, valorizzato dalla presenza delle acque fecondatrici. Si configura, così, l’idea dello spazio sacro, marcato dalla «chiusura» e dal «sigillo». Fecondità e inviolabilità, maternità e verginità, vita e santità si fondono insieme, come in certi canti biblici in onore di Sion (Is 48,2; 49,20–21; 51,18–20; 54,1 ecc.). Lo spazio sacro è, allora, un grembo fecondo e materno a cui ci si riferisce inconsciamente come in un «ritorno all’utero»: là si è nati, là si vuole ritornare per trovare pace, sicurezza, nutrimento, tenerezza, calore, vita. Là ci si sente come in un «paradiso» terrestre, in cui scorrono acque abbondanti, dissetanti e rinfrescanti, come nella grandiosa mappa idrografica del giardino di Eden tracciata da Gen 2,10–14. Nel Cantico questo giardino chiuso incarna soprattutto l’idea di mistero invalicabile che è racchiuso nel corpo della donna e che può essere svelato solo per donazione, non conquistato per violenza. Quel giardino chiuso è «l’io femminile, padrone del proprio mistero», è «l’interiore inviolabilità della persona» (Giovanni Paolo II, 30 maggio 1984). È solo col dono d’amore che la diversità e l’originalità, insite in ogni persona, si sciolgono e le porte del giardino si spalancano. Allora, continua Giovanni Paolo II, «la sposa risponde allo sposo con le parole del dono, cioè dell’affidamento di se stessa».
Come non vedere un chiaro riferimento ad altri due giardini, tappe fondamentali nella vita di Gesù: il primo è in relazione al Getsèmani: “Dopo aver detto queste cose, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli” (Gv 18,1).
Il secondo indica il luogo dove è posto il sepolcro: “Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto” (Gv 19,41).
Fino qua abbiamo presentato l’affresco con alcuni simboli contenuti in esso, ora è il momento di dare qualche chiave di lettura anche al testo biblico che ci accompagnerà da qui a poco: il Cantico dei Cantici.
«Il mondo intero non vale il giorno in cui il Cantico dei Cantici è stato donato a Israele» (Rabbi Aqiba, citato in Mishnah Jadajim 3,5). Queste parole di uno dei grandi maestri della tradizione ebraica dicono incisivamente quanto il Cantico sia stato considerato e amato da essa. Il testo è una delle «meghillot», uno dei rotoli, cioè, da leggere nella liturgia sinagogale: il fatto che venga proclamato a Pasqua, la festa centrale fra tutte che celebra la liberazione dalla schiavitù d’Egitto e il passaggio del Mar Rosso, testimonia di quale considerazione goda Shir Ha Shirim (questo il nome ebraico: il Cantico dei Cantici, il «Cantico sublime»). Ancora oggi nelle famiglie ebree il sabato è accolto come la sposa del Cantico (in ebraico «shabbat» è femminile).
Nella tradizione cristiana il Cantico gode di una stima non minore: «Beato chi comprende e canta i cantici della Sacra Scrittura – afferma Origene –, ma ben più beato chi canta e comprende il Cantico dei Cantici» (Omelia sul Cantico l,l: Pg 13,37). Al Cantico si ispira la mistica cristiana, celebrando il rapporto d’amore con Dio: basti pensare ai versi di San Giovanni della Croce: «In una notte oscura / con ansie di amor tutta infiammata, / o felice ventura!, / uscii, né fui notata, / stando già la mia casa addormentata. / … / Notte che mi guidasti! /oh, notte amabile più che l’aurora / oh, notte che hai congiunto / l’Amato con l’amata / l’amata nell’Amato trasformata» (San Giovanni della Croce, Noche oscura, Strofe l e 5). Eloquente e ispirativo nelle più diverse stagioni della tradizione ebraico-cristiana, il Cantico continua a parlare anche oggi: «Questo – afferma il poeta, filoso e scrittore Guido Ceronetti – è un Cantico di oggi, per il presente, per servirgli restando quel che è, un punto lontano» (Il Cantico dei Cantici, Adelphi, Milano 1975. 2005, 114).
Non ci si può non chiedere come un’opera storicamente datata, probabilmente del tardo post-esilio (IV-III secolo a.C.), abbia potuto esercitare una tale influenza sull’anima ebraico-cristiana e in generale sulla storia culturale e religiosa dell’umanità. La ragione di questo fascino esercitato dal Cantico sta plausibilmente nel fatto che esso si muove sulla soglia, in quella sottile striscia di esperienza universalmente umana, dove la morte è eguagliata solo dall’amore.
Si può capire il Cantico, allora, solo se si è inquietati dall’amore, feriti da esso, attratti, animati o motivati dall’esperienza di amare. Per la comprensione del Cantico vale la legge dell’amore: «Amor che a null’amato amar perdona» (Dante, Inferno, V, 103). Solo l’amore capisce l’amore: solo l’amore introduce nel santuario del Cantico e ne rivela le profondità abissali.
È l’amore il tema del Cantico: si comprende, perciò, come proprio questo piccolo libro stia al centro di quella narrazione della storia dell’amore fra Dio e le Sue creature, che è la Bibbia. «Il Primo Testamento inizia con il grido esultante dell’uomo di fronte alla donna: “Questa, sì, è carne della mia carne, osso delle mie ossa” (Gen 2,23). Il Nuovo termina con il grido d’amore della sposa per lo sposo divino: “Lo Spirito e la sposa dicono: Vieni!” (Ap 22,17). In mezzo alla Bibbia, Primo e Nuovo Testamento, vi è il Cantico dei Cantici, il libro dell’amore, il cuore della Bibbia» (Cantico dei Cantici, nuova versione, introduzione e commento di G. Barbiero, Paoline, Milano 2004, 8). In quanto libro dell’amore, il Cantico è anche l’unico libro biblico a essere composto dall’inizio alla fine in forma di dialogo: «Il fatto stesso del dialogo è significativo, perché indica, nella prossimità, anche la distanza dei due amanti, come è tipico del vero amore» (ib., 420).
Ma di quale amore si tratta? È amore umano, solo umano, quello di cui parla il Cantico? O è anche amore divino? Si tratta di un unico amore che intreccia le varie possibilità: in tutte è però presente l’Eterno, come sottolineano i maestri ebrei mostrando come la parola ’ahavah (amore) abbia due lettere in comune col nome divino impronunciabile, significato dal Tetragramma sacro (Jhwh).
In ogni esperienza veramente umana di amore si fa esperienza di Dio: questo è il senso che al Cantico dà la professione di fede di 8,6: «Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore!». «Come la morte l’amore chiede tutto. Amare vuol dire perdere la propria libertà e la propria vita, non appartenere più a se stessi… Bisogna perdersi per ritrovarsi» (ib., 427: cfr. Lc 9,24).
Attraverso l’uso dell’interpretazione allegorica, tutto il Cantico appare come un paradigma del Cristo: così, l’Amato che viene saltando sopra i monti di Ct 2,8 è riconosciuto sin dal primo commento cristiano come «il Verbo, saltato dal cielo fin nel corpo della Vergine, dal sacro ventre sul legno della Croce, dal legno negli inferi, di là nella carne (della risurrezione)… infine, dalla terra al cielo» (Ippolito di Roma, Commento al Cantico, XXI, 2). Le descrizioni del Cantico vengono interpretate come metafore della vita della Chiesa: «Se tu senti nominare le membra dello sposo, cerca di capire che in realtà sono evocati i membri della Chiesa» (Origene, Commento al Cantico, libro II, su Ct 4).
Una foresta di simboli pervade comunque l’intero testo: l’Amato, l’amore, il corpo, il giardino, il creato, la società… Il «filo rosso» in questa selva di sensi è rappresentato dal tema della ricerca amorosa, con l’accentuazione della presenza gustata dopo l’amarezza dell’assenza, dell’aurora accolta dopo la notte, dell’oblio di sé vissuto come condizione per trovare l’Altro.
L’amore del Cantico è allora al tempo stesso quello dell’amato per l’amata, quello di Dio per il Suo popolo e del popolo per Dio, e infine quello del singolo credente per il Signore. Che l’amore in tutta la ricchezza del suo significato sia il tema dominante del Cantico è mostrato anche dal fatto che il testo si preoccupa di presentare sin dall’inizio i due protagonisti come l’amata e l’amato. È interessante notare che a pronunciare il maggior numero di parole nel Cantico sia la donna (una sessantina di versetti), mentre all’uomo ne sono riservate poco più della metà (trentasei versetti). È questo un implicito riconoscimento dell’inclinazione che la donna ha verso la sapienza dell’amore, non solo nel senso della capacità oblativa che dimostra, ma anche della disponibilità a intuire, presentire ed evocare la presenza dell’Amato. Quest’attitudine alla percezione e alla comunicazione dell’amore è intesa dalla tradizione ebraica come risultante naturale dell’essere la donna sorgente della vita: se vivere veramente è amare, colei che nella casa accende la candela del sabato per introdurre la famiglia intera nella vita nuova del riposo divino, la donna, è anche quella che in generale saprà meglio accendere e alimentare la fiamma dell’amore.
L’amore è insomma esodo da sé di ciascuno dei due per essere dell’altro. Questa trama complessa di legami d’amore non è presentata mai staticamente nel Cantico, ma evocata nelle forme proprie dei dinamismi dell’amore: l’amore è cammino che si apre al cuore e alla vita, e perciò non può non vivere di tappe e di gradi: «Grande è la forza dell’amore, meravigliosa la potenza della carità. Molti sono i gradi dell’amore e fra essi grande è la differenza» (Riccardo di San Vittore, I quattro gradi della violenta carità, 2).
Appunto per durare l’amore ha bisogno di distanza, di incontro, di nuova distanza, di nuovo incontro.
Su tutto vi emerge il contesto del giardino fiorito, dove i due non sono più due, ma Uno, e il ritrovarsi di ciascuno nell’altro è pegno e caparra della vittoria sulla morte, che è la vita senza fine dell’amore.
Qui sotto troviamo il testo sacro. Per l’occasione è stato diviso in 12 parti.
PRIMA LETTURA: GIGLIO (2,1-2,7)
Io sono un narciso della pianura di Saron,
un giglio delle valli.
Come un giglio fra i rovi,
così l’amica mia tra le ragazze.
Come un melo tra gli alberi del bosco,
così l’amato mio tra i giovani.
Alla sua ombra desiderata mi siedo,
è dolce il suo frutto al mio palato.
Mi ha introdotto nella cella del vino
e il suo vessillo su di me è amore.
Sostenetemi con focacce d’uva passa,
rinfrancatemi con mele,
perché io sono malata d’amore.
La sua sinistra è sotto il mio capo
e la sua destra mi abbraccia.
Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
per le gazzelle o per le cerve dei campi:
non destate, non scuotete dal sonno l’amore,
finché non lo desideri.
SECONDA LETTURA: COLOMBA (2,8-2,14)
Una voce! L’amato mio!
Eccolo, viene
saltando per i monti,
balzando per le colline.
L’amato mio somiglia a una gazzella
o ad un cerbiatto.
Eccolo, egli sta
dietro il nostro muro;
guarda dalla finestra,
spia dalle inferriate.
Ora l’amato mio prende a dirmi:
«Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni, presto!
Perché, ecco, l’inverno è passato,
è cessata la pioggia, se n’è andata;
i fiori sono apparsi nei campi,
il tempo del canto è tornato
e la voce della tortora ancora si fa sentire
nella nostra campagna.
Il fico sta maturando i primi frutti
e le viti in fiore spandono profumo.
Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni, presto!
O mia colomba,
che stai nelle fenditure della roccia,
nei nascondigli dei dirupi,
mostrami il tuo viso,
fammi sentire la tua voce,
perché la tua voce è soave,
il tuo viso è incantevole».
TERZA LETTURA: GIGLIO (2,15-2,17)
Prendeteci le volpi,
le volpi piccoline
che devastano le vigne:
le nostre vigne sono in fiore.
Il mio amato è mio e io sono sua;
egli pascola fra i gigli.
Prima che spiri la brezza del giorno
e si allunghino le ombre,
ritorna, amato mio,
simile a gazzella
o a cerbiatto,
sopra i monti degli aromi.
QUARTA LETTURA: TORRE (4,1-4,7)
Quanto sei bella, amata mia, quanto sei bella!
Gli occhi tuoi sono colombe,
dietro il tuo velo.
Le tue chiome sono come un gregge di capre,
che scendono dal monte Gàlaad.
I tuoi denti come un gregge di pecore tosate,
che risalgono dal bagno;
tutte hanno gemelli,
nessuna di loro è senza figli.
Come nastro di porpora le tue labbra,
la tua bocca è piena di fascino;
come spicchio di melagrana è la tua tempia
dietro il tuo velo.
Il tuo collo è come la torre di Davide,
costruita a strati.
Mille scudi vi sono appesi,
tutte armature di eroi.
I tuoi seni sono come due cerbiatti,
gemelli di una gazzella,
che pascolano tra i gigli.
Prima che spiri la brezza del giorno
e si allunghino le ombre,
me ne andrò sul monte della mirra
e sul colle dell’incenso.
Tutta bella sei tu, amata mia,
e in te non vi è difetto.
SUONATA…
QUINTA LETTURA: FONTANA (4,8-4,15)
Vieni dal Libano, o sposa,
vieni dal Libano, vieni!
Scendi dalla vetta dell’Amana,
dalla cima del Senir e dell’Ermon,
dalle spelonche dei leoni,
dai monti dei leopardi.
Tu mi hai rapito il cuore,
sorella mia, mia sposa,
tu mi hai rapito il cuore
con un solo tuo sguardo,
con una perla sola della tua collana!
Quanto è soave il tuo amore,
sorella mia, mia sposa,
quanto più inebriante del vino è il tuo amore,
e il profumo dei tuoi unguenti, più di ogni balsamo.
Le tue labbra stillano nettare, o sposa,
c’è miele e latte sotto la tua lingua
e il profumo delle tue vesti è come quello del Libano.
Giardino chiuso tu sei,
sorella mia, mia sposa,
sorgente chiusa, fontana sigillata.
I tuoi germogli sono un paradiso di melagrane,
con i frutti più squisiti,
alberi di cipro e nardo,
nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo,
con ogni specie di alberi d’incenso,
mirra e aloe,
con tutti gli aromi migliori.
Fontana che irrora i giardini,
pozzo d’acque vive
che sgorgano dal Libano.
SESTA LETTURA: GIARDINO (4,16-5,1)
Alzati, vento del settentrione, vieni,
vieni vento del meridione,
soffia nel mio giardino,
si effondano i suoi aromi.
Venga l’amato mio nel suo giardino
e ne mangi i frutti squisiti.
Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, mia sposa,
e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo;
mangio il mio favo e il mio miele,
bevo il mio vino e il mio latte.
Mangiate, amici, bevete;
inebriatevi d’amore.
SETTIMA LETTURA: COLOMBA (5,2-5,8)
Mi sono addormentata, ma veglia il mio cuore.
Un rumore! La voce del mio amato che bussa:
«Aprimi, sorella mia,
mia amica, mia colomba, mio tutto;
perché il mio capo è madido di rugiada,
i miei riccioli di gocce notturne».
«Mi sono tolta la veste;
come indossarla di nuovo?
Mi sono lavata i piedi;
come sporcarli di nuovo?».
L’amato mio ha introdotto la mano nella fessura
e le mie viscere fremettero per lui.
Mi sono alzata per aprire al mio amato
e le mie mani stillavano mirra;
fluiva mirra dalle mie dita
sulla maniglia del chiavistello.
Ho aperto allora all’amato mio,
ma l’amato mio se n’era andato, era scomparso.
Io venni meno, per la sua scomparsa;
l’ho cercato, ma non l’ho trovato,
l’ho chiamato, ma non mi ha risposto.
Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città;
mi hanno percossa, mi hanno ferita,
mi hanno tolto il mantello
le guardie delle mura.
Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
se trovate l’amato mio
che cosa gli racconterete?
Che sono malata d’amore!
OTTAVA LETTURA: GIGLIO (5,10-5,16)
L’amato mio è bianco e vermiglio,
riconoscibile fra una miriade.
Il suo capo è oro, oro puro,
i suoi riccioli sono grappoli di palma,
neri come il corvo.
I suoi occhi sono come colombe
su ruscelli d’acqua;
i suoi denti si bagnano nel latte,
si posano sui bordi.
Le sue guance sono come aiuole di balsamo
dove crescono piante aromatiche,
le sue labbra sono gigli
che stillano fluida mirra.
Le sue mani sono anelli d’oro,
incastonati di gemme di Tarsis.
Il suo ventre è tutto d’avorio,
tempestato di zaffiri.
Le sue gambe, colonne di alabastro,
posate su basi d’oro puro.
Il suo aspetto è quello del Libano,
magnifico come i cedri.
Dolcezza è il suo palato;
egli è tutto delizie!
Questo è l’amato mio, questo l’amico mio,
o figlie di Gerusalemme.
SUONATA…
NONA LETTURA: GIARDINO (6,2-6,3)
L’amato mio è sceso nel suo giardino
fra le aiuole di balsamo,
a pascolare nei giardini
e a cogliere gigli.
Io sono del mio amato
e il mio amato è mio;
egli pascola tra i gigli.
DECIMA LETTURA: COLOMBA (6,4-6,12)
Tu sei bella, amica mia, come la città di Tirsa,
incantevole come Gerusalemme,
terribile come un vessillo di guerra.
Distogli da me i tuoi occhi,
perché mi sconvolgono.
Le tue chiome sono come un gregge di capre
che scendono dal Gàlaad.
I tuoi denti come un gregge di pecore
che risalgono dal bagno;
tutte hanno gemelli,
nessuna di loro è senza figli.
Come spicchio di melagrana è la tua tempia,
dietro il tuo velo.
Siano pure sessanta le mogli del re,
ottanta le concubine,
innumerevoli le ragazze!
Ma unica è la mia colomba, il mio tutto,
unica per sua madre,
la preferita di colei che l’ha generata.
La vedono le giovani e la dicono beata.
Le regine e le concubine la coprono di lodi:
«Chi è costei che sorge come l’aurora,
bella come la luna, fulgida come il sole,
terribile come un vessillo di guerra?».
Nel giardino dei noci io sono sceso,
per vedere i germogli della valle
e osservare se la vite metteva gemme
e i melograni erano in fiore.
Senza che me ne accorgessi, il desiderio mi ha posto
sul cocchio del principe del mio popolo.
UNDICESIMA LETTURA: TORRE (7,2-7,10)
Come sono belli i tuoi piedi
nei sandali, figlia di principe!
Le curve dei tuoi fianchi sono come monili,
opera di mani d’artista.
Il tuo ombelico è una coppa rotonda
che non manca mai di vino aromatico.
Il tuo ventre è un covone di grano,
circondato da gigli.
I tuoi seni sono come due cerbiatti,
gemelli di una gazzella.
Il tuo collo come una torre d’avorio,
i tuoi occhi come le piscine di Chesbon
presso la porta di Bat-Rabbìm,
il tuo naso come la torre del Libano
che guarda verso Damasco.
Il tuo capo si erge su di te come il Carmelo
e la chioma del tuo capo è come porpora;
un re è tutto preso dalle tue trecce.
Quanto sei bella e quanto sei graziosa,
o amore, piena di delizie!
La tua statura è slanciata come una palma
e i tuoi seni sembrano grappoli.
Ho detto: «Salirò sulla palma,
coglierò i grappoli di datteri».
Siano per me i tuoi seni come grappoli d’uva
e il tuo respiro come profumo di mele.
Il tuo palato è come vino squisito,
che scorre morbidamente verso di me
e fluisce sulle labbra e sui denti!
DODICESIMA LETTURA: (8,5-8,7) Insieme
… Chi sta salendo dal deserto,
appoggiata al suo amato?
Sotto il melo ti ho svegliato;
là dove ti concepì tua madre,
là dove ti concepì colei che ti ha partorito.
Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l’amore,
tenace come il regno dei morti è la passione:
le sue vampe sono vampe di fuoco,
una fiamma divina!
Le grandi acque non possono spegnere l’amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell’amore,
non ne avrebbe che disprezzo.
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*Sono state consultate diverse opere:
Per la descrizione dell’Hortus Conclusus:
- IL SIMBOLO – Appunti di liturgia per l’Arte Sacra di don Ambrogio Malacarne – Arcidiocesi di Trento, Ufficio Arte Sacra, 2004.
- ECCE ANCILLA DOMINI – La caccia mistica all’unicorno nell’Arcipretale di S. Maria Assunta a Fiera di Primiero di Leopoldo Taufer – Associazione Voci di Primiero, 2006.
- IL CANTICO DEI CANTICI di padre G. Ravasi.
Per la presentazione del Cantico dei Cantici:
- LA PIÙ BELLA CANZONE D’AMORE di don Bruno Forte. Il testo è presente nel portale delle scuole cattoliche FIDAE: www.fidae.it: area tematiche: educazioni: sessuale