La prima Santa del Primiero

All’inizio di questa nostra serata permettetemi una parola di ringraziamento. Innanzitutto verso il mio e vostro Signore di cui questo oratorio, luogo di incontro e formazione delle persone, ne porta con orgoglio il nome: “Sacro Cuore di Gesù”. Alla Beata Vergine Maria Assunta in cielo di cui questa parrocchia è posta sotto il suo materno manto di protezione. Voglio ringraziare la stessa Beata Suor Maria Serafina del Sacro Cuore perché credo che, solo per sua intercessione alla corte della Santissima Trinità, noi possiamo in questa sera fermarci per conoscere, riflettere e ri-orientare le nostre esistenze verso l’unico Salvatore del mondo: Gesù Cristo. Un ringraziamento va a ciascuno di voi, a cui chiedo di cuore un atto di simpatia verso i miei confronti e tanta pazienza per colmare il vuoto delle mie incapacità…

 

Partiamo dal tema che contraddistingue questa serata: “Beata Suor Maria Serafina Micheli: la prima santa del Primiero”, collocandoci come il naturale termine di un percorso di meditazioni estive che hanno visto succedersi bravi relatori, i quali ci hanno proposto interessanti spunti di riflessione sulla vita cristiana e umana. Inoltre questo nostro incontro è in continuità con una serie di iniziative partite il 28 maggio da Faicchio (BN) con la solenne celebrazione di beatificazione di Madre Maria Serafina Micheli e che continueranno fino a settembre, raggiungendo l’apice l’11 del mese con la S. Messa di ringraziamento presieduta dall’arcivescovo di Trento e che vedrà la partecipazione di numerosi sacerdoti, delle Suore degli Angeli e quella porzione di popolo di Dio che appartiene al nostro decanato e in particolare alla comunità di Imèr (luogo di nascita della Beata).

Presento questo intervento in cinque passaggi:
1.    Una doverosa premessa storica…
2.    Chi è la Beata Suor Maria Serafina Micheli del Sacro Cuore?
3.    Perché la Chiesa la venera come beata?
4.    Che cosa significa essere santi per noi, qui e oggi, alla luce di questa nostra beata?
5.    Conclusioni e orientamenti per la vita…

 Una doverosa premessa storica…

 

Prima di indicare i momenti fondamentali che hanno contraddistinto la vita della Beata Maria Serafina Micheli, mi sembra doveroso presentare a grosse linee il contesto religioso e civile in cui è vissuta.
Questa donna cristiana vive sotto tre pontificati quello di Pio IX (1846-1878); di Leone XIII (1878-1903) e una parte di Pio X (1903-1914). La situazione storica in cui nasce e vive è contraddistinta da condizioni difficili e complesse che ci permettono di capire anche le sue difficoltà nel trovare la “terra promessa” a cui Dio l’ha chiamata, ma anche una certa “prudenza ecclesiastica” nell’assecondare i suoi desideri. Con il secolo dei Lumi si è entrati in un clima di antagonismo tra la Chiesa e la rivoluzione francese, tra Dio e la libertà, tra il cattolicesimo romano e il movimento liberale. La parentesi napoleonica, con la sua visione imperialistica e soprattutto con la promulgazione delle leggi che vogliono sopprimere gli ordini religiosi e confiscare i bene ecclesiastici, non fanno che aggravare una situazione già fortemente provata. A questo vanno aggiunti i motti rivoluzionari che scoppiano in molti Stati europei, anche sul territorio italico per l’unità d’Italia, a cui seguono le guerre d’indipendenza contro l’Austria che portano alla nascita del Regno d’Italia e alla caduta dello Stato pontificio.
Con Pio IX abbiamo un irrigidimento su posizioni antimoderniste e antiliberali, inoltre ai cattolici viene vietato di partecipare alla vita politica del nascente Stato italiano. Nel 1854 abbiamo la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione; nel 1864 la condanna degli errori modernisti; nel 1870 viene proclamato il dogma sull’infallibilità del Papa.
Leone XIII, con la rivoluzione industriale, si trova ad affrontare la sfida della povertà generata dal processo d’industrializzazione, diversa dalla povertà tradizionale, in quanto i problemi che pone questo nuovo tipo di miseria sono numerosi. Viene promulgata la prima enciclica di dottrina sociale della Chiesa, la Rerum Novarum (1891).
Con Pio X si prosegue il rilancio dell’attività missionaria della Chiesa e viene allentato il divieto per tutti i cattolici italiani di partecipare alla vita politica. Questo papa avvia la riforma del diritto canonico, redige il catechismo che porta il suo nome, ma soprattutto riforma la Curia romana sopprimendo vari dicasteri divenuti inutili. A lui si deve la concessione della Prima Comunione ai fanciulli.
Il contesto anticlericale in cui nasce la Congregazione di Madre Serafina può aiutarci molto a cogliere le numerose difficoltà che la Beata, con le prime consorelle, ha dovuto affrontare, in un ambito come quello meridionale, dove il riconoscimento del ruolo della donna nella società è inesistente, l’analfabetismo e l’indigenza sono piaghe che colpiscono la quasi totalità della popolazione.

 

 

2.    Chi è la Beata Suor Maria Serafina Micheli del Sacro Cuore?

 

La ricostruzione dell’esistenza della Beata Madre Serafina del Sacro Cuore, il tentativo di conoscere i suoi sentimenti, la sua fede, la tenacia con cui ella ha perseguito la ricerca della verità sulla sua ispirazione iniziale, ci autorizzano oggi a ringraziare, la Santa Madre Chiesa, per avere riconosciuto la santità delle virtù da lei praticate.
Clotilde Micheli nasce in questa valle, a Imèr (TN) l’11 settembre 1849 da una famiglia umile, dotata di intensa religiosità. L’esemplarità di vita della mamma, Maria Orsingher, alimenta quotidianamente la fede dei figli; ella riesce ad armonizzare l’impegno quotidiano per il mantenimento della famiglia numerosa, con una pietà non esteriore, ma come avvertimento della presenza di Dio nel quotidiano, con atti di culto e di servizio alla Chiesa. Clotilde vive a Imèr per 18 anni, in questa atmosfera  di impegno e di sobrietà, il 2 agosto 1867 ha la visione della Madonna che, come già era apparsa a sua sorella Fortunata, le chiede di fondare un nuovo Istituto religioso indicandole anche il nome con cui si sarebbe chiamata: Suor Maria Serafina del Sacro Cuore di Gesù. “Il mio divin Figlio ed io vogliamo che fondi un nuovo Istituto che si chiamerà delle Suore degli Angeli, poiché si proporrà di imitare gli Angeli nell’adorare la SS. Trinità, servendo il prossimo”. Clotilde, intanto, comincia a percepire che occorre aiutare la famiglia a uscire dall’indigenza, offrendo lavoro, umiliazioni, disagi.
Seguendo il parere di una donna saggia e prudente di Imèr, Costanza Piazza, Clotilde si reca a Venezia per consigli spirituali da mons. Domenico Agostini, futuro patriarca della città lagunare, il quale esorta la giovane ad iniziare l’opera voluta da Dio, invitandola a redigerne la Regola. Ma essa presa dal timore di non riuscire, strappa le lettere di presentazione e ritorna ad Imèr. Nel 1867 si trasferisce da sola a Padova, qui rimane per nove anni fino al 1876, seguendo la guida spirituale di mons. Angelo Piacentini, professore del locale Seminario, cercando di capire meglio la chiamata ricevuta.
Alla morte del Piacentini, Clotilde Micheli, si reca a Castellavazzo (Belluno) presso l’arciprete Gerolamo Barpi, il quale conosciute le intenzioni della giovane, mette a sua disposizione un vecchio convento per la nuova fondazione. Dopo incomprensioni e proposte devianti da parte di Giulia Andrich, nipote del padre Barpi, nel 1878 si trasferisce a Eppendorf, in Germania, ove rimane fino al 1885, per aiutare e assistere i genitori emigrati per ragioni di occupazione; lavora come infermiera presso l’ospedale delle Suore Elisabettine. Dopo la morte della mamma, avvenuta in Germania e del padre, Clotilde fa ritorno nel suo paese e anima l’Unione delle Figlie di Maria. La Madonna, anche durante questi anni, le rinnova l’invito a seguire Gesù nella fondazione del nuovo Istituto. A Imèr continua ad avvertire la presenza degli Angeli, esseri più vicini a Dio, soffusi di luce, di carità, di purezza. La tensione di ricerca della volontà di Dio si traduce in pellegrinaggi, visite a santuari, fino al centro della cristianità, a Roma,  ove spera di trovare risposta alla sua chiamata. Attraverso l’esperienza itinerante, si va configurando la sua spiritualità di pellegrina, in fuga dal mondo,  da se stessa. Apre il cuore a Dio, alla sua volontà, non si ferma, anzi è affascinata da Dio Uno e Trino, la costante attesa della sua Presenza  è il filo conduttore della sua esistenza, con cui riesce a vincere la consapevole povertà intellettuale.
Per la Madre, l’intelligenza deve avere sempre la dimensione dell’amore radicato nel dinamismo della Parola,  nell’Eucaristia che è centro della vita consacrata e della comunità. Con questa schiarita interiore, ella accetta a Roma, nel 1887, l’ospitalità delle Suore Immacolatine, la proposta di far parte del loro Istituto, ma conserva in cuore il proposito di uscirne,  qualora la luce balenata nella chiesa di Imèr nel 1867 indicasse decisamente altro percorso.
È il 1890: il padre Francesco Fusco, che la Madre ha conosciuto ad Assisi,  la invita a raggiungere Piedimonte d’Alife, perché il vescovo Antonio Scotti sta per dare inizio ad una nuova fondazione religiosa di tipo claustrale. Il discernimento secondo lo Spirito, invece, convince la Madre a rifiutare la proposta del vescovo. Dopo essersi spostata a Caserta ospite di una famiglia che la sostiene, Clotilde passa nella vicina Casolla con due giovinette che da poco si sono unite a lei. Dopo alcuni mesi, il vescovo di Caserta mons. De Rossi autorizza la vestizione religiosa del primo gruppo di cinque suore, che avviene alla presenza di padre Fusco il 28 giugno 1891, la nuova Istituzione prende il nome di Suore di Carità degli Angeli, adoratrici della SS. Trinità.
La fondatrice Clotilde Micheli ha 42 anni e prende il nome di Suor Maria Serafina del Sacro Cuore. Un anno dopo un primo nucleo di suore viene inviato a gestire un orfanotrofio a S. Maria Capua Vetere (Caserta), che diviene anche la prima Casa dell’Istituto, seguita poi da altre opere, volte ad aiutare l’infanzia e la gioventù abbandonata. Il Volto di Dio diventa appello all’universale compassione verso i fratelli, i più bisognosi, da servire “come gli Angeli”. La volontà di Dio si va consolidando nel suo spirito come grazia, conformazione a Cristo Sposo, come partecipazione all’unione esistente nei “Tre”,  più che come ascesi, come sforzo umano. Per la nostra Beata la vocazione è quel nome che ella riceve, Serafina, ed è la personalizzazione  del progetto di Dio. È Cristo che dà alla Madre quell’impronta chiara, quello che Dio vuole da lei, dalla nuova fondazione.
Dal 1893 alla 1911 è tutto un fiorire di attività apostolica che vede l’apertura di 15 case. Il cuore pulsante dell’Istituto è la comunità di Faicchio (BN), ove dal 1899 si stabilisce il primo nucleo e che diventerà la Casa madre. Dall’attività apostolico-missionaria, a quella educativa-familiare, piuttosto che alla vita parrocchiale, alla cura dei malati, degli anziani, dei bisognosi, le suore degli Angeli rendono attuale il sogno della Fondatrice:  “Siate nella Chiesa Angeli di luce e di carità, verso i fratelli, dalla culla alla tomba”.  Già dal 1891 si unisce alla nuova famiglia religiosa la sorella della fondatrice, Fortunata, che prenderà il nome di suor Maria degli Angeli, come le aveva riferito la Vergine nella rivelazione del 1867 nella chiesa parrocchiale di Imèr.  A Casolla di Caserta madre Serafina compone la Regola dell’Ordine angelico, primo testo costituzionale dell’istituto, affidato alla SS. Trinità e alla Vergine Immacolata Regina degli Angeli. Dal 1891 al 1904, anno della prima  approvazione delle Costituzioni da parte dell’Ordinario del luogo, l’Istituto si arricchisce di nuove vocazioni, le quali permettono l’estensione dell’azione apostolica. In verità, la testimonianza di vita della Fondatrice è il seme che assicura la fecondità del carisma.
Madre Serafina comincia a patire, già dalla fine del 1895, un periodo di sofferenze fisiche che la provano vistosamente. L’impegno a realizzare altre opere ad un ritmo sostenuto la indeboliscono ulteriormente, tanto da costringerla a non muoversi più da Faicchio. Lei, che si pone, con l’ordine delle Suore degli Angeli, quali adoratrici perpetue della SS. Trinità, non si è mai fermata a disquisire teologicamente il mistero trinitario, ma lo ha vissuto fino alla fine: “Oh come si compiace il Signore , e come dà gloria alla SS. Trinità, quell’anima che soffre le prove più dure con umiltà e fortezza”.
Come quasi tutte le fondatrici di Congregazioni religiose, anche lei deve molto soffrire moralmente per le incomprensioni patite all’interno stesso del suo Istituto, vivendo anche questo tempo con un profondo spirito di obbedienza e umiltà. Il 24 marzo 1911, consumata dalle sofferenze fisiche, muore nella Casa di Faicchio, dove è tumulata.

A soli nove anni dalla morte della fondatrice ha inizio la raccolta di testimonianze, da parte delle Suore coeve, al fine di istruire la  causa di canonizzazione che trova concretezza il 1 ottobre 1990 con l’inchiesta Diocesana sulla fama di santità della Serva di Dio che termina il 15 marzo 1992 e inizia la fase romana presso la Congregazione delle Cause dei Santi. Il 17 novembre 1999 suor Michelina Acocella, delle Suore degli Angeli, guarisce dalla Sindrome da Dumping. La presunta guarigione è attribuita all’intercessione della Serva di Dio Suor Maria Serafina del Sacro Cuore.
Prosegue il lungo e complesso iter di beatificazione che vede, il 16 giugno 2009 da parte dei cardinali e i vescovi, il riconoscimento che la Serva di Dio ha esercitato in maniera eroica le virtù teologali, le virtù cardinali e quelle proprie dello stato religioso.
Il 3 luglio 2009, Benedetto XVI riceve in udienza privata il cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Nel corso dell’incontro il Santo Padre autorizza la Congregazione a promulgare il  Decreto  riguardante le  virtù eroiche della Serva di Dio Suor Maria Serafina del Sacro Cuore,  autorizzando così la beatificazione che avviene a Faicchio il 28 maggio dell’anno corrente.
Il carisma indicatole, con l’intervento della Vergine nel lontano 1867, l’accompagna per tutta la vita e si diffonde tuttora nella sua Congregazione come dono dello Spirito Santo: “Come gli Angeli adorerete la Trinità e sarete sulla terra come essi sono nei cieli”.

 

 

3.    Perché la Chiesa la venera come Beata?

 

Questa domanda trova risposta nelle parole pronunciate, durante l’omelia tenuta dal Cardinale Amato, in occasione della beatificazione di Madre Serafina il 28 maggio 2011 a Faicchio (BN):
“La risposta è semplice: educando, accogliendo, proteggendo e soprattutto evangelizzando. Istruendo grandi e piccoli, ricchi e poveri, colti e ignoranti a seguire «tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode» (Fil 4,8)…”
“Madre Serafina è l’icona della donna italiana che ha fatto del Vangelo un efficace anticorpo ai rischi della disumanizzazione e dell’egoismo. Vivendo le beatitudini, ha mostrato come la santità sia un fermento indispensabile per animare un mondo distratto e secolarizzato a vivere e praticare gli autentici valori umani, come bontà, carità, aiuto fraterno, rispetto, concordia…”
“Il Santo Padre Benedetto XVI, individua tre caratteristiche della santità di Madre Serafina: l’adorazione trinitaria sull’esempio degli Angeli; la perseveranza nell’adempiere la volontà di Dio; la fondazione di una nuova Congregazione religiosa femminile, per l’assistenza ai poveri e per l’educazione dei piccoli…” “Si tratta di tre aspetti di straordinaria attualità per sanare le ferite morali e spirituali della nostra società, fiaccata dalla mentalità anticristiana e anticlericale di buona parte di una cultura sciatta e mediocre, ma comunicata con martellante petulanza dai mezzi di comunicazione sociale…”
“La grandezza, la genuinità e la modernità della santità di Madre Serafina sta in questa sua adesione a Dio, in questo suo riposare sul cuore di Cristo, in questo suo sguardo rivolto verso l’alto, in questo suo sporgersi al di là della nostra storia per slanciarsi con le ali della fede tra le braccia stesse del Padre, ricco di misericordia. Ancora sulla terra, Madre Serafina abitava in cielo…”
“Il suo continuo riferimento agli Angeli intendeva educare le sue Religiose ad acquisire una sensibilità spirituale di lode, di adorazione, di servizio e a vivere una vita interiore intensa, per non degradarsi in un attivismo sterile e precario…”
“I telegiornali, mostrandoci quotidianamente uomini e donne che trasgrediscono ogni codice civile e morale, chiudono i loro obiettivi sul bene esistente intorno a noi, trasmettendoci sfiducia e pessimismo. I santi, invece, comunicano buone notizie. Ci educano a guardare con ottimismo la realtà nella sua autenticità e a farci comprendere che noi siamo circondati anche e soprattutto da persone buone, semplici, normali, che vivono il Vangelo nella gioia della loro famiglia, nell’impegno del loro lavoro, nell’educazione dei loro figli. È questo il reale telegiornale della nostra vita quotidiana, che è più vero di ogni altra comunicazione scandalistica. Sull’esempio della Beata Madre Serafina, diventiamo tutti protagonisti del bene nella quotidianità della nostra esistenza, riconciliandoci, perdonando e amando. In tal modo la santità continuerà ad abitare la nostra terra…”

 

 

4.    Che cosa significa essere santi per noi, qui e oggi, alla luce di questa nostra Beata?

 

Penso che sia doveroso presentare questa domanda all’attuale Pontefice, che da sempre si è dimostrato un attento studioso e un propositivo Pastore nel porre all’attenzione dell’intera cristianità cattolica la vita dei santi, quali modelli di amore a Cristo, di fedeltà alla Chiesa e di carità concreta verso il prossimo. Nell’udienza generale tenuta il 13 aprile 2011, dopo alcuni anni in cui aveva caratterizzato questo appuntamento presentando la figura di diversi santi, ha voluto fare una sintesi sulla santità, da cui possiamo trarre alcuni interessanti spunti di riflessione:
“Che cosa vuol dire essere santi? Chi è chiamato ad essere santo? Spesso si è portati ancora a pensare che la santità sia una meta riservata a pochi eletti. La santità, la pienezza della vita cristiana non consiste nel compiere imprese straordinarie, ma nell’unirsi a Cristo, nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti. La misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua…”
“Come possiamo percorrere la strada della santità, rispondere a questa chiamata? Posso farlo con le mie forze? La risposta è chiara: una vita santa non è frutto principalmente del nostro sforzo, delle nostre azioni, perché è Dio, il tre volte Santo (cfr Is 6,3), che ci rende santi, è l’azione dello Spirito Santo che ci anima dal di dentro, è la vita stessa di Cristo Risorto che ci è comunicata e che ci trasforma…”
“Mi sembra che questa sia la vera semplicità e grandezza della vita di santità: l’incontro col Risorto la domenica; il contatto con Dio all’inizio e alla fine del giorno; seguire, nelle decisioni, gli “indicatori stradali” che Dio ci ha comunicato, che sono solo forme di carità. Perciò il vero discepolo di Cristo si caratterizza per la carità verso Dio e verso il prossimo (Lumen gentium, 42). Questa è la vera semplicità, grandezza e profondità della vita cristiana, dell’essere santi…”
“E vorrei aggiungere che per me non solo alcuni grandi santi che amo e che conosco bene sono “indicatori di strada”, ma proprio anche i santi semplici, cioè le persone buone che vedo nella mia vita, che non saranno mai canonizzate. Sono persone normali, per così dire, senza eroismo visibile, ma nella loro bontà di ogni giorno vedo la verità della fede. Questa bontà, che hanno maturato nella fede della Chiesa, è per me la più sicura apologia del cristianesimo e il segno di dove sia la verità…”
Essere santi per una donna, al contempo, contemplativa e pratica come Madre Serafina significa che: “L’anima che vuol farsi santa… non cerca di farsi santa a suo modo, ben persuasa che non può mai arrivare, ma a modo di Dio, manifestatole dalla volontà dei Superiori ove si trova”.

 

 

5.    Conclusioni e orientamenti per la vita…

 

Mi sembra che, dopo questa panoramica, possiamo tracciare un contorno abbastanza chiaro sull’identità di questa nostra sorella Beata. Vi propongo alcuni punti di riflessione: il ruolo della famiglia nella vocazione di una persona; il senso e il valore della direzione spirituale; vivere con lo spirito del pellegrino il nostro cammino alla santità; gli ingredienti della santità: umiltà, obbedienza e preghiera.

Riflettere oggi con obiettività sulla famiglia è compito arduo, ma se facciamo attenzione alla quotidianità che ci circonda, solo la Chiesa è rimasta a proporla come via in cui si manifesta il disegno d’amore di Dio verso gli uomini. La famiglia intesa nella sua regolare unione tra uomo e donna, che si apre alla vita dei figli, senza dimenticare il rapporto di amore e riconoscenza verso gli anziani che ci precedono nel cammino verso il Padre. Dentro questo orizzonte mi sembra di poter dire che la nostra Beata ha mosso i suoi primi passi. I biografi concordano nel definire la famiglia di origine della Micheli luogo di educazione umana e cristiana in cui spicca la figura della mamma, che pur tra le mille complessità nell’accudire una prole numerosa, rimanere fedele al marito che, a causa di diverse difficoltà economiche, ha sempre tenuto in tensione l’ambiente familiare, arriva a trovare il tempo per una visita a Gesù in chiesa e anche a qualche ammalato del paese. Questo è stato l’humus ideale su cui si sono gettate le solide basi dell’intera esistenza della Beata Serafina, la quale era solita dire alle consorelle: “Permettete, figliuole, mie che vi dica e vi ripeta: Amatevi le une le altre, sopportandovi generosamente”. Da queste poche parole possiamo capire come la sua vocazione è frutto di una vita segnata da una famiglia numerosa, nella quale ha affinato profondamente i suoi sentimenti di generosa carità verso gli altri.
Come marito e genitore mi sembra fondamentale segnalare questo passaggio nell’esistenza di ciascuno di noi, perché sono sempre più persuaso che il futuro della Chiesa, ma dell’umanità stessa, si giochi proprio nella famiglia. Se vogliamo riscoprire il valore della vocazione, dobbiamo insegnarla nella famiglia. La gioia cristiana non si compra al mercato dei souvenir religiosi, ma si trasmette in casa; la presenza di Dio, il quale ci accompagna nel quotidiano, non è un concetto filosofico da aule universitarie, ma una realtà che per primi i genitori devono vivere e poi trasmettere ai propri figli. Insegnare le preghiere, leggere qualche brano biblico, o raccontare la vita dei santi, non è qualcosa di “non moderno”, ma è la logica conseguenza di una “certa aria” che tira tra le mura domestiche. La partecipazione alla liturgia domenicale, alla vita della parrocchia non sono segnali di una frustrazione religiosa, ma la normale fonte a cui attinge una famiglia cristiana nella buona e cattiva sorte. Le vocazioni sacerdotali e alla vita religiosa richiedono, oggi più di ieri, contesti familiari in cui non si abbia paura di “offrire” al Signore operai per la sua vigna. Non dimentichiamoci mai: l’ambiente familiare plasma la persona, ma da Gesù in poi, la Divina Tradizione Cristiana genera educazione. E dunque chi ignora tutto questo si priva di quei tesori che rendono grande la vita. Fra tali tesori c’è spesso un prete o una suora! Il grande Patrono degli educatori, San Giovanni Bosco, ci ricorda che “l’educazione è cosa del cuore e che Dio solo ne è il padrone” (Epistolario, 4,209).

Madre Serafina ha indubbiamente ricevuto una grazia particolare e straordinaria riconducibile all’apparizione del 2 agosto 1867 (giorno di visita alla Porziuncola), ma questo non deve essere visto come un rendere facile le cose difficili. Che cosa fa questa donna trentina? Prima cosa ne parla con la mamma e poi prega. Compiere la volontà di Dio significa mettersi alla sua scuola, perché non tutto è subito chiaro, memori del miracolo narrato dall’evangelista Giovanni, in cui Gesù guarisce un uomo cieco dalla nascita: tante volte per aprire gli occhi su Dio è necessario spalmarvi sopra un po’di fango… (Gv 9,6). Indubbiamente discernere la volontà di Dio nella propria esistenza non è un aspetto che va lasciato all’auto gestione… Ecco allora che possiamo cogliere un altro tassello nella vita della Beata Madre Serafina: la direzione spirituale.
Come accennavo poc’anzi, la prima guida spirituale la trova nella mamma, seguono mons. Domenico Agostini nel periodo veneziano, a Padova è seguita da mons. Angelo Piacentini e infine dal cappuccino padre Francesco Fusco, il quale ricopre un ruolo fondamentale nell’ultimo passaggio per la creazione dell’ordine religioso angelico. Che cosa possiamo trarre da questo? Che il Signore mette sulla strada di ciascuno, non un unico direttore spirituale per sempre, ma diverse persone che ci accompagnano lungo la nostra vita per tratti più o meno lunghi. Tutte sono importanti perché contribuiscono a realizzare in noi il piano d’amore di Dio, difatti la Beata Serafina scuote le sue consorelle con queste parole: “Non fate le sorde alle divine ispirazioni!”. Questo, affinché anche noi, possiamo un giorno divenire accompagnatori di altri, che la Provvidenza vuole incrocino la nostra esistenza. Come distinguere un direttore spirituale da un semplice compagno di viaggio o peggio ancora da un ciarlatano? La mia personale esperienza, alla luce di alcuni fatti che hanno contraddistinto la vita della Beata, mi porta a dire che la guida è colui che sa guardare al cammino compiuto, aiutando a leggere determinati passaggi alla luce della Parola di Dio, della Tradizione e del Magistero, senza mai forzare (neanche minimamente!) verso una direzione. Un sacerdote ferrarese, morto una ventina di anni fa in odore di santità, monsignor Cartesio Cisterna spiega così il discernimento spirituale: “È guardando il cammino fatto che si può comprendere la vocazione, come dalle orme di chi cammina si può intuire la direzione. E poi coltivando i propri talenti. È un grave sbaglio pensare che il discernimento si basi sui sogni del futuro e sui desideri: solo guardando indietro si può vedere cosa abbiamo potuto costruire, dove stiamo andando, e filtrare i progetti attraverso la concretezza dell’esperienza… In fondo il Vescovo sceglie il candidato al sacerdozio solo il giorno dell’ordinazione («Noi scegliamo questo fratello per l’Ordine…»), cioè dopo anni di seminario e di accompagnamento”. Prosegue questo sacerdote: “La vocazione non è qualcosa di estrinseco, ma c’è una dimensione intrinseca. Il Signore ci ha dato l’esempio del corpo e delle membra quando parla della Chiesa (1Cor 12,12-28). È lui che ha definito le varie membra: se il Signore ha concepito un uomo come cellula facente parte dell’occhio, la sua felicità, la sua libertà e la sua realizzazione sarà esclusivamente nel vedere, nel vivere le funzioni dell’occhio; e così per tutte le membra! Quindi è importante capire chi sei, qual è la tua parte nel Corpo Mistico… perché l’unica nostra vera realizzazione è fare ciò che siamo, perché come dice l’Apostolo «una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione» (Ef 4,4)”.

La Madre, con la sua personale esperienza, ci insegna: “Oh! Quanto è cara quell’anima che con umiltà ascolta gli avvisi di Dio, e corrisponde alla sua chiamata! Godrà un paradiso in terra e finirà con un altissimo trono nei cieli”.

L’altro aspetto che mi pare emergere in maniere forte dalla vita della Beata Micheli è il suo pellegrinare per l’Italia… Parte da un paese di montagna, dell’allora impero asburgico, per toccare città importanti come Venezia, Padova, c’è anche una deviazione nel bellunese (che si dimostra alquanto pericolosa!), poi in Germania, ancora a Imèr. Seguono diversi pellegrinaggi in santuari del nord-est della penisola, arriva a Roma, prosegue verso la Campania a Piedimonte d’Alife, poi nel Casertano, a Casolla, dove prende forma l’ordine religioso.
Questo pellegrinare lungo i sentieri della Provvidenza non va confuso con un vagabondaggio religioso, il quale ha avuto un lieto termine. Nei giorni scorsi a Madrid, prima dell’arrivo del Papa all’incontro della GMG, in una catechesi aperta ai giovani, il cardinale Bagnasco spiegava come viandante e pellegrino non sono sinonimi: “La meta di un pellegrinaggio ci fa pellegrini, che conoscono da dove partono e verso dove vanno; tutto ciò che accade nel tempo del pellegrinaggio è segnato e misurato dall’obiettivo, dalla meta. Altrimenti siamo dei vagabondi senza casa e senza terra, naufraghi della vita, che vivono alla giornata, come viene, per i quali ciò che conta è quanto sta loro davanti momento per momento: sarà naturale allora cercare di spremere la maggiore soddisfazione possibile dall’attimo presente”. Parole che dicono chiaramente questo aspetto fondamentale della Beata, che poi si è aperto a tutta la Congregazione, quasi a diventarne uno dei carismi. Infatti le suore degli Angeli le troviamo, oltre che in Italia, anche in Africa, Asia e America Latina. L’Angelo sarà anche custode, ma sicuramente non soffre la sindrome dell’immobilismo !!!

In conclusione, permettetemi di aggiungere alcuni aspetti che sono direttamente collegati con il riconoscimento delle sue virtù eroiche: l’umiltà e l’obbedienza, secondo i sentimenti di Gesù Cristo: “Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte…” (Fil 2,8).
Credo, anche se non sono un esperto, che siamo di fronte a una donna che oggi definiremmo di “carattere forte”. Dio con la sua anima ha dovuto lavorare “di lima” per smussare non poco alcuni spigoli caratteriali e mentali. Ricordo che l’ordine nasce quando lei ha 42 anni, dopo 24 di pellegrinaggi, questo vorrà pur dire qualcosa!!! Una gestazione lunga che le permette di affilare le armi dell’umiltà, in prospettiva anche alle sofferenze fisiche che contraddistinguo il suo ultimo periodo di vita e le non poche incomprensioni che deve affrontare all’interno dell’ordine stesso, per dire con le sue parole: “Come essere Angeli in terra se non si pratica la più profonda umiltà?”.
Tutto vissuto in uno spirito di totale obbedienza alla Chiesa, basti pensare che pur rimanendo ferma nel proposito di realizzare ciò che Dio le ha consegnato, lo compie sempre ricercando nei pastori (sacerdoti e vescovi) quell’approvazione ecclesiastica che è conferma della volontà divina, fino a consegnare questo monito: “Non fate mai niente senza il consenso dei ministri di Dio, amate la Chiesa, il Santo Padre”.
Umiltà e obbedienza trovano il loro senso solo dentro la preghiera (personale e comunitaria) e la carità verso il prossimo. Ripeteva: “La religiosa che si contenta delle sole preghiere di regola, fa ben poco, perché la vita religiosa è vita di preghiera” e ancora: “Le Suore di quest’ordine si ricorderanno che salmeggiando sono in unione con gli Angeli”. Va anche detto che, sul finire dell’ottocento, c’è un forte influsso della preghiera intesa nella pratica di devozione al Sacro Cuore di Gesù (di cui lei si conforma assumendone il nome nella vita religiosa), al Cuore Immacolato di Maria e in genere ai santi.
In lei troviamo quella sintesi, che è propria di chi vive la vita in santità, fino a dire: “Chi è colui che sempre prega? Quello che in ogni azione cerca di glorificare Iddio… e mentre con il cuore opera e prega, con il corpo ancora si rende un organo melodioso di opere sante”. Opere che sono immagine di una carità interiore di cui la Madre nutre le sue figlie: “A nulla vale la fede se manca la carità, non v’è speranza, non penitenza, non orazione, né vita religiosa se manca la carità”.

Permettetemi di lasciare che sia la stessa Beata Madre Serafina Micheli del Sacro Cuore a congedarsi da noi, rispondendo a una domanda che spesso sentiamo mormorare anche nella stessa Chiesa: che senso ha celebrare i santi e i beati? “Il celebrare le glorie dei Santi è cosa ottima. La Chiesa, benigna nostra Madre, vuole e desidera che sull’esempio dei Santi cerchiamo di riformare la nostra vita e di invogliarla a virtù”.

Così sia!!!

 

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